Vivaio Sud 2018. E se i bandi non fossero l'unica strada possibile? Competizione versus coprogrammazione.
Relazione sul tema ideato
e proposto nel Summit tra istituzioni e mondo associativo “Vivaio Sud” promosso
da Mecenate 90 e Forum Terzo Settore:
"E
se i bandi non fossero l'unica strada possibile? Competizione versus
coprogrammazione"
Autore:
Mirko Marangione
Introduzione
La gioia, l’ottimismo ed il senso di onore che
nascono in cuor nostro dal poter partecipare al summit “Vivaio Sud” 2018 sono
sentimenti accompagnati da una importante responsabilità, ovvero, quella di
trasformare la partecipazione in compartecipazione, l’operatività in
cooperazione, il lavoro in collaborazione osservando con cura quanto si legge
nel titolo del Summit e quanto abbiamo appreso in questi anni dal seguire con
interesse l’operato dell’illustre Segretario Generale di Mecenate 90 Prof. Ledo
Prato. Bisogna costruire innovazione, cultura e progresso partendo dal
principio collettivistico ed espansivo piuttosto che da quello particolaristico
e conservatore. Bisogna dare spazio alle idee e costruirle in progetti
sostenibili. Bisogna essere umili ma anche molto preparati al mondo che si
trasforma continuamente ed avere coraggio. Bisogna saper rivoluzionare il modo
di interpretare le cose e assumersi anche la responsabilità di immaginare,
progettare, concretizzare l’innovazione che si intende realizzare in un
registro sostenibile.
In
quest’ottica e filosofia l’associazione Le cose che vanno International è fiera
ed orgogliosa di poter essere parte attiva di “Vivaio Sud”, magnifico incontro
giunto alla sua quinta edizione grazie al lavoro congiunto di Forum Nazionale
del Terzo Settore - di cui salutiamo vivamente i rappresentanti convenuti - e
l’Associazione Mecenate 90 - di cui salutiamo con profonda stima il Segretario
Generale Prof. Ledo Prato, l’ufficio di segreteria e l’Amministrazione tutta.
In tale documento si intende illustrare la nostra idea di erogazione
e gestione dei fondi pubblici relativi al Terzo settore.
Il presente documento è stato redatto secondo ipotesi, dati e
indicazioni formulate e fornite da Mirko Marangione alla luce delle
informazioni note, della situazione in essere e di quanto poteva essere
ragionevolmente supposto al momento della sua stesura. Si precisa che tali informazioni
sono state assunte dai materiali redattori acriticamente, ovvero senza svolgere
alcun controllo in merito alla correttezza, completezza e validazione dei dati
e informazioni ricevute.
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Norme e Pareri:
Dpr 616/1977
Legge 328/2000 - Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali
D.P.C.M. 30 marzo 2001
Legge costituzionale 3/2001 –
Riforma del Titolo V
Decreto Legislativo 50/2016
art.151 – nuovo Codice degli appalti
Decreto Legislativo 117/2017 –
Codice del Terzo settore
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Il “Bando” (ant. “Banno”) era in età antica un annuncio
pubblico gridato da un messo, il banditore, per comunicare al popolo le
decisioni della autorità. È ragionevole pensare che nel “Banno”
antico, ovvero nello strillo al pubblico di una comunicazione di decisione
dell’autorità, affondano le radici del contemporaneo “Bando di concorso pubblico”.
Infatti un bando pubblico è un atto amministrativo con cui si invitano i
soggetti in possesso di specifici requisiti a partecipare ad un concorso
pubblico, ad una iniziativa prevista con legge e rivolta alla collettività.
Attraverso lo strumento del bando si scelgono i soggetti che
ricoprono la posizione più marcatamente in linea con i requisiti in esso
descritti e che, competendo fra loro, si propongono di realizzare quanto
descritto nel bando stesso e di attivarsi per la realizzazione della attività
in esso illustrata.
Per diversi decenni nel nostro Paese la Pubblica amministrazione
si è avvalsa della collaborazione del Terzo settore nella realizzazione di un
welfare e di una attività culturale e sociale più efficace.
Tuttavia come anzidetto le attività da fare erano previste in
gran parte dalla pubblica amministrazione ed al Terzo settore restava la parte
operativa o al più meramente consultiva. Spesso il Terzo settore risultava
essere soltanto un operatore intermediario fra la società civile destinataria e
la PA.
Il Dpr 616 del 1977 affidava ai comuni le competenze di
gestione anche in ambito sociale e con la riforma del Titolo V (Legge Cost.
3/2001) si affidava il potere decisionale in materia di politiche sociali alle Regioni.
Il Legislatore con legge quadro 328/2000 ha introdotto nel
nostro ordinamento lo strumento della co-progettazione. Il Governo ha conseguentemente emanato il D.P.C.M. 30 marzo
2001 il cui art. 6 prevede che “Le regioni adottano specifici indirizzi per
regolamentare i rapporti tra comuni e soggetti del terzo settore
nell'affidamento dei servizi alla persona di cui alla legge n. 328 del 2000
tenuto conto delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano le procedure
di affidamento dei servizi da parte della pubblica amministrazione”. Il
successivo art. 7, inoltre, limita la co-progettazione a casi particolari: si
stabilisce, infatti, che “Al fine di affrontare specifiche problematiche
sociali, valorizzando e coinvolgendo attivamente i soggetti del terzo settore,
i comuni possono indire istruttorie pubbliche per la co-progettazione di
interventi innovativi e sperimentali su cui i soggetti del terzo settore
esprimono disponibilità a collaborare con il comune per la realizzazione degli
obiettivi”. In base a tali disposizioni, dunque, “i rapporti tra comuni
e soggetti del terzo settore nell'affidamento dei servizi alla persona”,
quali che ne siano le
forme, sono comunque soggetti alle “norme nazionali e
comunitarie che disciplinano le procedure di affidamento dei servizi da parte
della pubblica amministrazione”; inoltre, la co-progettazione è
circoscritta ad “interventi innovativi e sperimentali”.
Lo strumento della co-programmazione è stato successivamente
previsto nel nuovo codice del Terzo settore all’art. 55. Nel nuovo Codice del
Terzo Settore si prevedono gli strumenti collaborativi della co-programmazione,
co-progettazione e accreditamento, pur nel rispetto dei principi della legge 7
agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti
ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona.
Art. 55 Codice del terzo settore
1. In attuazione dei principi di
sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità,
omogeneità,copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità
dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le
amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione
e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei
settori di attività di cui all'articolo 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli
enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e
co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi
della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonchè delle norme che disciplinano
specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione
sociale di zona.
2. La co-programmazione è
finalizzata all'individuazione, da parte della pubblica amministrazione
procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari,
delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili.
3. La co-progettazione è
finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici
progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti,
alla luce degli strumenti di programmazione di cui comma 2.
4. Ai fini di cui al comma 3,
l'individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato
avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di
trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa
definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli
obiettivi generali e specifici dell'intervento, della durata e delle
caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per
l'individuazione degli enti partner."
Il nuovo Codice apre
quindi a pieno titolo a modelli alternativi alle procedure di gara basate sul principio
competitivo e supera la norma limitativa dell’art. 7 del DPCM 30 marzo 2001,
che restringeva l’ambito di applicazione di tali strumenti ai soli interventi
sperimentali e innovativi.
Per i sociologi De Ambrogio e Guidetti coprogettare non è più
semplicemente essere consultati ed esprimere la propria opinione ad un tavolo
al fine di favorire decisioni che saranno poi prese da altri; coprogettare è
assumersi onori e responsabilità alla stregua di un’impresa ed i suoi soci. Gli enti locali e i soggetti del
privato sociale si trovano, infatti, ad agire in una cornice che supera il
tradizionale rapporto committente-fornitore a favore di una relazione
caratterizzata da partenariato e corresponsabilità.[1]
Un ulteriore
riferimento normativo precedente alla riforma del Terzo settore è il terzo
comma dell’art.151 del D.Lgs n. 50/2016 (nuovo Codice degli Appalti), che
recita “3. Per assicurare la fruizione
del patrimonio culturale della Nazione e favorire altresì la ricerca
scientifica applicata alla tutela, il Ministero dei beni e delle attività
culturali e del turismo può attivare forme speciali di partenariato con enti e
organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il recupero, il
restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l'apertura alla pubblica
fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili, attraverso procedure
semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori
rispetto a quelle previste dal comma 1".
Questa
modalità è estesa alle Amministrazioni pubbliche locali, d'intesa con il Mibac.
Come recita la nota-circolare del 9 giugno 2016 dell’Ufficio Legislativo del
Mibact le previsioni dell’articolo 151, comma 3, costituiscono
una “norma aperta che potrà man mano riempirsi di contenuti applicativi
specifici sulla base dell’esperienza e delle buone pratiche che potranno essere
avviate e sperimentate “. [2]
Superare lo strumento del bando per costruire
i suddetti partenariati mediante gli strumenti della co-programmazione,co-progettazione,
accreditamento nonostante siano nettamente più efficaci ed efficienti, non
presentano poche difficoltà esegetiche.
Con nota
prot. n. 59638 del 6 luglio 2018 l’ANAC ha rivolto al Consiglio di Stato richiesta
di parere in ordine alla normativa
applicabile agli affidamenti di servizi sociali, alla luce delle disposizioni
del d.lgs. n. 50 del 2016, come modificato dal d.lgs. n. 56 del 2017, e del
d.lgs. n. 117 del 2017.
La
Commissione speciale del Consiglio di Stato, in data 26 luglio 2018 (numero
affare 01382/2018) sintetizza l’opzione esegetica coltivata nel seguente modo:
“- le procedure di affidamento dei
servizi sociali contemplate nel Codice del terzo settore (in particolare,
accreditamento, co-progettazione e partenariato) sono estranee al Codice dei
contratti pubblici ove prive di carattere selettivo, ovvero non tese
all’affidamento del servizio, ovvero ancora ove il servizio sia
prospetticamente svolto dall’affidatario in forma integralmente gratuita,
intesa nel rigido senso specificato supra;
- le procedure di affidamento dei
servizi sociali contemplate nel Codice del terzo settore (in particolare,
accreditamento, co-progettazione e partenariato) sono, viceversa, soggette al
Codice dei contratti pubblici, al fine di tutelare la concorrenza anche fra
enti del terzo settore, ove il
servizio sia prospetticamente svolto
dall’affidatario in forma onerosa, ricorrente in presenza anche di meri
rimborsi spese forfettari e/o estesi a coprire in tutto od in parte il costo
dei fattori di produzione; l’Amministrazione, inoltre, deve specificamente e
puntualmente motivare il ricorso a tali modalità di affidamento, che, in quanto
strutturalmente riservate ad enti non
profit, de facto privano
le imprese profit della
possibilità di rendersi affidatarie del servizio.”[3]
Concludendo credo
che questo Parere possa avere come effetto un giano bifronte: da un lato
si erge ad argine di tali strumenti definendo alcuni limiti che le PA e gli
enti non profit trovano nello stipulare tali approcci,
dall’altro
garantisce che tali prassi virtuose presenti e crescenti in diverse regioni
d’Italia non degenerino in modalità antigiuridiche.
Indubbiamente
credo che la chiave del superamento della competizione sia nella condivisione
del tavolo di programmazione e del tavolo di progettazione che possano
costruirsi sulla base di precisi requisiti esprimibili in un preventivo bando
pubblico di ricerca partners fermo restando gratuità della prestazione e
motivazione del ricorso a tali strumenti da parte della amministrazione
pubblica.
2. Risorse pubbliche destinate al Terzo
settore: dal bando pubblico alla deducibilità totale
Il sistema
tributario italiano prevede numerose agevolazioni fiscali per i contribuenti
che effettuano erogazioni liberali a favore di determinate categorie di enti di
particolare rilevanza sociale, sia sotto forma di detrazioni d’imposta che come
deduzioni dal reddito imponibile Irpef.
La
differenza tra detrazioni e deduzioni è di natura sostanziale. Infatti, mentre
gli oneri detraibili incidono (in percentuale) direttamente sull’imposta lorda,
riducendo di fatto l’imposta dovuta dal contribuente, gli oneri deducibili sono
spese che possono essere portate in diminuzione dal reddito
complessivo rilevante ai fini Irpef, prima del calcolo dell’imposta.
Pertanto, quest’ultima tipologia di spese, riducendo a monte il reddito
imponibile, determina un beneficio pari all’aliquota massima raggiunta dal
contribuente.
Detrazione e
deduzione vengono applicate in base a degli specifici limiti in percentuale e
in somme di denaro massime stabiliti dalla Legge.[4]
D.L. n. 35/2005 e successive modificazioni (L.
80/2005), TUIR – Testo Unico delle Imposte sui Redditi).Erogazioni liberali
possono essere costituite anche in cessioni gratuite di merce le quali non vengono considerate ai fini del
calcolo del reddito d’impresa tassato con l’Ires o con l’Irpef.[5]
Tale solco
tracciato da questa virtuosa legislazione liberale e democratica comporta una
conseguenza molto positiva, ovvero, l’avvicinamento delle
imprese a
temi di tipico interesse dell’ambito non profit, fermo restando il controllo
oltre che la collaborazione della Pubblica amministrazione.
Tuttavia,
ciò che rilevo in 3 anni e mezzo di attività associativa in posizione
gestionale è che si potrebbe fare di più e determinare una vera e propria
rivoluzione nel campo della spesa pubblica in ambito sociale, culturale e di
welfare.
La
rivoluzione che si intende descrivere in forma di idea consiste nel dare alle
imprese la preziosa opportunità di destinare una parte delle loro entrate alle
suddette erogazioni con la conseguenza di una deducibilità totale di codeste
somme. Il limite principale della determinazione di tali somme da erogare dovrebbe
consistere non già in una imposizione dall’alto (e dunque per legge) ma nella
analisi svolta internamente all’Impresa valutando la sostenibilità
dell’operazione in relazione al metodo economico e dunque alla copertura dei
costi con i ricavi e all’autosufficienza economica. In relazione, inoltre, al
programma di investimenti e di crescita dell’impresa stessa.
Il primo
effetto che si otterrebbe per il soggetto profit è la diminuzione dell’ammontare
del reddito complessivo rilevante ai fini Irpef e dunque una più vantaggiosa
esposizione alla aliquota massima raggiunta.
Le somme
donate andrebbero a confluire in attività svolte in partnership con
organizzazioni non profit e PA in materie di difficile gestione da parte delle stesse
amministrazioni pubbliche e corrispondenti alle politiche sociali, culturali,
di welfare a diversi livelli territoriali.
Da un lato
dunque si delinea lo Stato che rinuncia ad una buona parte delle tasse pagate
dalle imprese, dall’altro si delineano le imprese, le organizzazioni non
profit, gli enti pubblici e comunque anche le Pubbliche
amministrazioni
in attività di co-programmazione e co-progettazione di iniziative affini al
Terzo settore. In questo sistema di foraggiamento del Terzo settore (dal basso)
si supererebbe in parte tanto il sistema del bando quanto lo strumento della
Competizione.
Naturalmente
non sarebbero contemplate le attività economiche estranee alle finalità del
Terzo settore e non sarebbero contemplati i servizi erogabili anche da soggetti
profit (per eventuale configurazione di concorrenza sleale).
Inoltre non
sarebbe neanche possibile costruire enti non profit nell’alveo dei soggetti
profit eroganti e dunque non sarebbe possibile che gli amministratori, soci, dirigenti
e consulenti professionisti facciano parte dell’impresa profit erogante e
dell’associazione non profit beneficiaria.
Per vedere
in concreto se questa idea possa concretamente realizzarsi necessitano
approfonditi studi non solo sulla fattibilità e sostenibilità a livello
finanziario per l’erario dello Stato ma anche minuziosi studi giuridici per
evitare antinomie nei confronti della normativa euro-unitaria e nazionale di
derivazione euro-unitaria.
Salerno,
20/09/2018
Mirko Marangione
[1] Ugo De Ambrogio, Cecilia Guidetti “La
co-progettazione La partnership tra pubblico e terzo settore” Carocci faber
[2] Il
giornale delle fondazioni – www.ilgiornaledellefondazioni.com
[3] Consiglio
Di Stato, adunanza della Commissione Speciale 26 luglio 2018, numero affare
01382/2018
[4] D.L. n.
35/2005 e successive modificazioni, L. 80/2005, TUIR - Testo Unico delle
Imposte sui Redditi
[5] D.lgs.
n. 460/1997